Urano
2 Luglio 2019Mercurio
20 Settembre 2019Alla fine del mondo, un po’ più a destra, una massa verde dalle sfumature nocciola ritaglia il mare a mo’ di mezzaluna e disegna una curva lunga e leggera nel cielo che le nuvole, soprattutto quelle appena nate, fanno a gara per percorrere di corsa. (Dico “di corsa” per utilizzare un’espressione letteraria, si sa che in cielo si dice “di vento”).
Io e la signora Fondiaria ci abitiamo da prima dell’ inizio dei tempi, ossia da quando si stava tutti in un punto e si faticava a distinguere le proprie particelle da quelle altrui, o meglio, da quando non si era sicuri nemmeno di esistere, in effetti non lo si sapeva. Non che ci soffermasse troppo al tempo, anzi al non-tempo, dato che non esisteva l’arte del pensare poiché cose da pensare non ce n’erano, e dunque si stava tutti lì, nel punto, e si aspettava. Non qualcosa in particolare, perché l’idea di qualcosa da attendere non aveva mai sfiorato nemmeno la parte più astratta del nostro coesistere nel buio del punto; ma si stava lì fermi e si dava forse l’impressione di stare aspettando qualcosa, anche se qualcuno o qualcosa che filtrasse i nostri primordiali comportamenti noi non ce l’avevamo. Quando poi ci fu l’esplosione il primo ad accorgersi di un cambiamento fu il nostro maggiordomo che, per la prima volta, ebbe polvere da spazzare e, dunque, qualcosa da fare e, quindi, la certezza di esistere davvero. E mentre lui era il primo della storia a dare un significato pratico al concetto di fare, io e la signora Fondiaria ci ritrovammo incollate ad un ammasso di materia incandescente che poi scoprimmo essersi staccato da un frammento dello stesso punto su cui esistevamo.
Nell’arco di anni, millenni o secondi ( il concetto di tempo non esisteva ancora) il cumulo di detriti e polvere iniziò a prender forma, una che poi sarebbe cambiata, e così anche noi. Io non ricordo come fossi, non me lo chiesi mai: identificarmi con un’unica figura lo trovavo assai limitante e, al contrario, mi piaceva immaginarmi pluriforme e anche sempre uguale, come l’omino scuro che mi seguiva sempre. La signora Fondiaria invece, essendosi rivelata una protonuvola, era ossessionata dal pensiero di dover riprodurre sempre la stessa forma con tutte le polveri di cui era fatta nelle stesse quantità. Le mancava così tanto la stabilità di un’esistenza senza tempo, immutabile e immobile. Ma per fortuna questa fu soltanto una fase.
Nell’arco di anni, millenni o secondi (come funzionava il tempo non l’avevamo ancora capito) si appassionò all’ arte del pensare tanto che alternava periodi di mutismo selettivo, per immergersi nella voragine di immagini e parole della sua mente, a periodi in cui sentiva la necessità di condividere con chiunque i frutti di tanto silenzio.
Intanto passava il tempo, o meglio, scorreva nei fiumi, nei laghi, nei mari, nelle ossa di nuovi individui che andavano man mano evolvendosi, e l’ammasso di materia su cui proiettavo le mie infinite forme ancora non sapevo come chiamarlo.
Non che me ne importasse naturalmente , ma continuando ad approdare lì, nel mio stesso posto, nuove forme di vita per cui, apparentemente, definire le cose era fondamentale, la cosa finì col riguardare anche me. Così alla fine, nonostante le mie perplessità iniziali, optammo per “isola, alla fine del mondo”. Non che fosse sul serio alla fine del mondo, nessuno sapeva bene dove fosse, ma era alla fine del mondo di chi ci aveva sempre vissuto e avrebbe vissuto per sempre. Come me, che ho dimenticato come si esiste per imparare a vivere, sull’ isola, alla fine del mondo.
Ci ho provato ad andare via, un po’ più a destra, ma la forza che mi attrae alla proiezione dell mie infinite forme non conosce resistenza e opposizione. Ci ho provato,con tutte le mie forze, tanto che nell’ultimo dei miei disperati tentativi è stata la massa verde dalle sfumature nocciola che taglia il mare a mo’ di mezza luna a venire da me, alla fine del mondo, un po’ più a destra.
E così, nell’arco di anni, millenni o secondi ho scoperto che ero vivo anch’io.