Diario da quarantena
19 Maggio 2020Diario Olanda
23 Novembre 2020Allego pensieri discontinui in evoluzione.
Quarantena, giorno 3.
Se la realtà è moto perpetuo ritmicamente condiviso di eventi incompatibili, il mio liberarmi rapido e improvviso al suono di ritornelli francesi, di cui so il significato a tratti, può anche tramutarsi nel rumore sordo e vibrante di un tornado tra un paio d’anni.
Però forse un movimento in uno spazio troppo vuoto per essere riempito può sottrarsi alla tensione che tiene tutto insieme.
Nel dubbio,
aime moi la peau beige
dans les fleurs de vermeilles.
Quarantena, giorno 5.
Riflettendoci, non penso sia lo spazio ad esser troppo vuoto per essere riempito, ma il tempo troppo vuoto per essere complicato.
Sembra tutto così limitatamente vasto.
Quarantena, giorno 9.
Due supercontinenti cercano di ripristinare una relativa geometria nella ventilazione di pensieri solidi. Una dromoscopia nella pangea delle cose-gesti.
Vertiginosa esperienza oceanica nel luogo-bilico della coscienza.
È così che ci si sente quando manca il respiro?
La parola polmonite si presta a molteplici interpretazioni,
questo in tv non l’hanno detto.
Quarantena, giorno 12.
La mia testa è un bazar di cose insolite.
Sembra che tutto sia sempre più concreto.
In mongolo cosa rara e preziosa si dice “Unet Zuil“,
è una lingua sottile, non me l’aspettavo, sa di liquirizia.
Quarantena, giorno 16
Penso che gli sconosciuti siano ciò di cui sento maggiormente la mancanza.
L’essere filtrata da occhi altrui senza filtri effettivi.
Non penso di essere mai stata così uguale.
Quarantena, giorno 20.
Oggi colazione a base di delicatezza che diventa sempre meno sottile.
Cosa rimarrebbe di una spezia se privata del suo aroma?
L’anagramma di aroma è amaro, come il caffè.
Latte macchiato con una punta di cannella.
Quarantena, giorno in cui mi decido ad omettere numeri che in realtà non so.
Perché ho la sensazione che il sole sia più freddo?
Come se in realtà fosse bianco.
Quarantena, notte.
Luna pantera,
cinque sensi che vorrei poter immaginare.
Il massimo che vedo è una superluna di miele, meglio di niente.
Quarantena.
Sì, il sole è decisamente più freddo.
Quarantena, forse anche un po’ prima.
A volte mi capita di addentrami in una specie di vuoto che poi, pensandoci, non è un vuoto ma un rettilineo denso di pensieri che vorrei non avere. Non che siano spiacevoli, per carità.
Sono semplicemente cose di cui faccio fatica a preoccuparmi.
Può il semplice riflettere essere stancante?
Non sono più abituata, l’assenza di attività fisica si fa sentire.
Quarantena, a luci spente.
In norvegese esiste una parola che allude ad un dopo sbornia morale, fylleangst.
Credo che lassù l’isolamento volontario non sia tanto diverso da una domenica mattina.
Quarantena, in un qualche momento.
La parte bassa della ringhiera, quella che lascia scoperti un paio di centimetri dalla base del balcone, funge da maschera per osservare uno scorcio di città che non è mi è mai parso così lontano.
Un panorama aranciato all’ombra di vestiti stesi è il mio unico sguardo sul mondo.
Quarantena, aromi.
Il mio pomeriggio sa di tè sfuso non filtrato alla vaniglia con più zucchero del dovuto che, se abbandonato a se stesso troppo a lungo, si trasforma in una miscela micidialmente amara. Come può qualcosa di così dolce diventare così sgradevole nell’arco di minuti?
Inizio a comprendere i lunatici.
Quarantena, specchio.
Touchè.
Quarantena, in prospettiva.
Da razionalizzare.
Passaggio, nel mezzo.
Limbo dai contorni non ben definiti,
si respira aria d’estate.
Fase due, giorno 1.
Desiderio di trovare un suono che espliciti un sentimento che non so riconoscere.
Sperimentando allitterazioni che riconducano a una sfera di sospensione. Ebrezza elusiva, identità ibrida. E congiunzione o i ingannatrice?
Fase due, giorno 3.
Un cavo elettrico taglia il cielo diagonalmente in due,
teorema sull’aria.
Disabituata ad una vista così mirata.
Fase due, frammenti.
Riscoperta di una tendenza a rompersi che credevo perduta, ritorno alle emozioni decise. Il sole è un po’ meno freddo.
Fase due, giorno d’aria.
Iperventilazione visiva.
Fase due, ebrezza.
Difficile riabituarsi.
Fase due, mascherina.
Bellezza immobile finalmente raggiunta,
cosa resta di quei trecentosessanta gradi di imperfezioni?
Ritirata, non-soldato.
Fase due, natura.
Visto da una prospettiva diversa, il sole è una biglia tra alette d’alberi, una sorta di flipper su piano verdeggiante che tende al mare. Che sia la natura ad essere cangiante?
Nel dubbio direi noia.
Fase due, sera.
Mi eri mancata.
Fase due, rapporti.
Un metro è davvero cento centimetri, intervalli che dieci volte per dieci celano infinite interazioni possibili. Teorie del caos fatte persone.
Fase due, flusso.
Assembramento di pensieri concepiti per noia o per necessità, la differenza è tanto sottile da camminarci sopra. Di rado la si calpesta, ne sono certa.
Fase due, presenze.
Persone a me più estranee occupano più spazio di quelle più intime,
distanza emozionale che colma un tratto di vuoto più ampio,
buffo.
Fase due, smalto.
Oggi risveglio nella mia solita posizione obliqua alla luce di un sole indeciso.
Nell’anarchia da cui il mio corpo è pervaso, c’è una nuova costante momentaneamente invariabile. Non pensavo che un velo nero potesse celare così bene delle minuscole variazioni rosate. Non so se sentirne la mancanza o soffermarmi su questo nuovo temporaneo strato di me.
Fase due, abitudini.
Provo verso di voi un inedito senso di tenerezza o non so cosa, forse leggerezza mista a memoria.
Fase due, incontri causali.
Se fossimo tutti più sconosciuti sarebbe tutto più immediato.
Fase due, paure.
Si dice diventino più sottili con la stagione estiva. Sarà il caldo, chissà.
Vale lo stesso se il sole appare impassibile?
Fase due, al chiuso.
È come muoversi in una realtà sconosciuta con un senso di affettiva familiarità.
Cammino in punta di piedi sulla sabbia bollente di una stanza a temperatura ambiente.
Fase due, osservando.
Universo in cannuccia, un sorso di una realtà fuori fuoco.
Forse era una mela.
Così profonda?
I miei occhi non hanno mai avuto tanta sete.
Fase grande,
non ho mai capito se la parola auguri debba essere interpretata con genuina innocenza o come sarcastica proiezione di una futura amarezza possibile. Soprattutto poi per un vegetariano, pensandoci, non è strano? D’altronde deriva da sacerdoti che analizzavano le viscere degli animali nella speranza di ottenere presagi favorevoli.
Buon compleanno.
Fase viaggio, inaspettata.
Vorrei poter scorgere da lontano ogni momento, come una lenta rivelazione. Sto attraversando un labirinto con una zattera, sfiorando la paura di avere paura.
Fase Ulisse.
Se l’esperienza si insinua così profondamente nell’animo da diventarne imprescindibile, è allora impossibile che essa si esaurisca: gli occhi torneranno a guardare lontano e a ricercare incessantemente quella navigazione errabonda verso l’ignoto.
Una partenza imminente per un’anima nostalgica, per fortuna, la mia.
Fase movimento,
osservazione di una realtà che gradualmente ritorna alla sua originale dimensione spiraliforme. Inaspettato piacere per una frenetica geometria.
Diario in evoluzione di una realtà sospesa a cura di mani fredde,
bentornato mondo,
ti aspettavo,
sei meno lontano del solito,
sole.
Pausa.
Pensieri da definire,
sintonia con le emozioni forti ritrovata
in un’atmosfera di plastica.
Ho perso la capacità di cogliere la molteplicità degli intervalli notturni,
mi abbandono al flusso,
obiettivo connessione.
Se la stessa profondità non può essere espressa dall’altra parte del mondo,
le emozioni sottili sopravviveranno,
non so dove però.
Mentre ripongo in valigia cose che in prospettiva potrebbero far parte di qualsiasi momento, ho l’aria di star facendo la cosa più bella della mia vita.
Eppure, a chi ha temporaneamente perso di vista la delicatezza degli attimi, sembra tutto grandissimo.
Fase pre-partenza,
preparando i mei occhi ad una familiarità diversa.
(Foto di Gaetano De Rosa)