Elio
1 Maggio 2020Pensieri discontinui
9 Settembre 2020Pensieri da quarantena,
diario di una realtà sospesa.
Parte prima.
Ciao nipote,
allego il testo che ho scritto per l’associazione premio UBU riguardo i miei pensieri sulla“quarantena”,
baci zio.
Intanto per liquidare subito una visione tutta personale, che rifletta la mia condizione specifica individuale: io sto bene, grazie, non ho nessuno statement da proporre.
Per il resto:
impensabile passare mesi come questi nell’attesa di un ritorno alla normalità. Se questo ‘frattempo’ ‘non ispira il cambiamento, allora è equiparabile alle ferie, ora d’aria inclusa.
Il cambiamento riguarda in primis il fatto che il ‘frattempo’ poco ha a che vedere con l’assenza pubblica della scena. Il frattempo è l’essenza della scena e deve essere sostenuto. I festival, i teatri, le istituzioni, le compagnie devono sperimentare insieme l’emersione di una nuova temporalità e di un nuovo atteggiamento nei confronti della materia performativa, per far si che il frattempo diventi pubblico.
Per forza di cose a partire dal locale, immaginiamo di aprire tutte le strutture possibili alla ricerca, favoriamo la ricerca, che contiene in sé tutte le domande relative al momento che stiamo vivendo e quindi evolverà di conseguenza i propri protocolli particolari. Garantire questa possibilità di rimettere in atto la ricerca, di poter distribuire economie alle aggregazioni, che sono la base della ricerca teatrale, a quell’insieme di competenze disparate che fondano le compagnie (costellazione viva che si annacqua nell’attesa); aiutateci a tenere aperto, il pubblico fluisce e fruisce in modo diverso, perché sa che tutto non è concentrato nell’evento, nel programma particolare, il teatro è aperto in un tempo lungo, decidi tu quando passare, noi siamo all’opera sempre, siamo senza tourné, non prenderemo treni, saremo vigili, saremo tanti e dal vivo, solo dal vivo, costruiremo delle intensità temporanee e localizzate, sempre visitabili, e non chiedeteci una frase risolutoria sul futuro, noi viviamo nel presente e perché dovremmo continuare a deambulare solo intorni ai negozi di alimentari?
Non dovremmo avere la possibilità di entrare in un luogo diverso, certo a distanza, certo con una coperta in testa, assaporando un rischio che il teatro contiene di per sé? Non è un modo di dire.
Il frattempo presuppone una ritualità diversa e un’abitabilità senza scaffali, senza prodotto. Io penso che il confronto della collettività con questa prospettiva dal vivo possa essere un buon terreno per dare al momentaneo presente una chance di lungimiranza. Solidarietà sindacale inclusa.
E sempre dal vivo.
‘Zio
Premetto che la scrittura non è mai stata il mio forte, quindi non me ne vogliate.
Mi chiamo Inge e sono al primo anno di università e non è andato esattamente come lo avevo sempre figurato nella mia mente. Che dire, la vita non va mai come ce l’aspettiamo; citando Parasite, l’unico piano che funziona è non avere un piano.
La pandemia ha colto tutti di sorpresa e questa quarantena forzata, seppur necessaria, è stata alquanto difficile da sopportare. Stiamo comunque parlando di due mesi chiusi in casa passati a non far nulla. Due mesi che per me sono stati di totale agonia.
All’inizio non era difficile, cosa potevo chiedere di più di stare tutto il giorno a guardare serie tv a letto e “seguire” lezioni da casa senza spostarmi di un singolo centimetro? Dopo la prima settimana però l’umore ha iniziato a calare, mi sono iniziati a mancare i miei amici e quella nuova casa che era diventata l’università. Il fatto di rimanere sempre nelle stesse quattro mura per due settimane ha iniziato a pesare. Non credevo sarebbe stato così difficile per un topo da biblioteca come me. Ed invece lo è stato. Ho iniziato ad avere crisi di pianto, che duravano giorni, senza alcun motivo apparente, se non la mancanza di contatto umano.
Sembra stupido, ma stare tutto il giorno con computer e cellulare, che durante il quotidiano abbiamo sempre usato abbondantemente, mi ha iniziato ad infastidire. Ho sempre preferito il contatto umano. Poi sono iniziate le videochiamate con gli amici, riuscivano a tamponare la situazione. Vedevo i miei amici, ridevo con loro, parlavo della mia noiosa vita. Non trovavo altro modo di iniziare una conversazione se non chiedendo come stesse andando la quarantena, ma io ero stanca. Stanca di sentire i notiziari sul numero giornaliero di morti. Stanca di complottisti che aprivano la bocca per dar fiato. In più le videochiamate non mi bastavano più, avevo bisogno di contatto, di abbracciare e baciare le persone che amavo.
In famiglia sentivo sempre tensione, ci siamo incattiviti. A furia di averci sempre davanti agli abbiamo iniziato a litigare più spesso del solito. Mia madre non riusciva a capacitarsi del fatto che non riuscissimo a vivere serenamente, che avessimo bisogno di uscire per stare bene. In realtà non era lo stare con loro il problema, bensì la situazione limite. Il non poter parlare liberamente con gli amici di cose di cui non si può parlare con i familiari.
L’esaurimento nervoso era alle porte.
Poi i primi contatti. L’aria del mio paese. Anche il freddo. Non credevo mi sarebbe mai mancato quel vento pungente che da quando ho memoria soffia sul mio piccolo paesino. Eppure eccomi lì, a respirare a pieni polmoni quella stessa aria che da sempre avevo odiato.
Ora, non voglio che questa lettura sia pesante, ma capirete che la situazione non sia stata delle più facili. Non sicuramente la più difficile, ma ha messo a dura prova quei pochi neuroni che mi erano rimasti. E non sarò una di quelle persone che dicono che è stata formativa come esperienza, che ci ha fatto legare di più con i nostri affetti. Per me l’unica cosa che questa quarantena ha fatto di buono è stato farci capire che l’uomo è un animale sociale, un essere che ha bisogno di una società per vivere. Ma questo lo aveva capito già Aristotele, poco più di duemila anni fa. La limitatezza delle tecnologie, che si diceva avrebbero sostituito in tutto e per tutto i contatti umani, mi è parsa finalmente chiara.
Spero di non essere stata troppo prolissa o noiosa, ma devo ammettere che scrivere di questa esperienza mi ha aiutato a pensare a ciò che ha veramente significato per me.
‘Inge
Sono sempre qui
solito posto di ieri
il letto mi avvolge in un caldo abbraccio
mi sento protetta
ma fuori il buio
questa situazione non cessa
ed io, mi ritrovo ancora qui.
‘Cri
Provo una sensazione familiare per una cosa strana.
La quarantena è stata (anche se in realtà non è ancora davvero finita) una cosa generalmente negativa, a parte il fatto che abbiamo avuto più tempo silenzioso e vuoto per ascoltarci. La quarantena ha significato vite finite, famiglie senza soldi e cibo, donne costrette in casa con il proprio violentatore, persone con problemi psicologici che si sono trovate perse. Tutto ciò mi esonera perché per fortuna (anche se provo ancora quel senso ddi colpa nello stare meglio degli altri) io non ho avuto nessuno di questi problemi. Concordiamo, quindi, che la quarantena sia stata un qualcosa di negativo per la maggioranza della popolazione mondiale (perché parliamoci chiaro il fatto che noi privilegiati siamo stati bene non vale un cazzo) quindi si presume che tutti noi non aspettassimo altro se non che finisse tutto per tornare a “prima”. Ebbene questa cosa non mi scende giù. Oggi è 4 maggio e io dovrei star fremendo di uscire giusto? Perché la 40ena è finita e ora finalmente potrei farmi una passeggiata al sole di maggio. Sono quasi triste che sia finita, forse dipenda dal fatto che questo è indipendentemente un ‘turning point’ e a noi esseri umani i cambi bruschi generalmente non piacciono. Sento come se non avessi sfruttato a pieno questo periodo di stallo, pausa, apnea. E questa è una sensazione che di solito si collega alle cose belle no? Quando sei triste che qualcosa di bello sia finito. Ma allora perché mi sento così insoddisfatta? Ci devo pensare ancora un po’ forse.
Tutto molto frettoloso e sgrammaticato
Forse l’ho fatto apposta per farlo rielaborare da te.
‘Ele
Fase due, ebrezza.
Difficile riabituarsi.
Tutto quello che mi sento di dirti